L’Handicap va considerato come la conseguenza di una menomazione o di una disabilità nei rapporti con il mondo e richiede, per l’area di competenza della Scuola, interventi e prestazioni non mediche e pertanto diventa un problema tipicamente sociale.
Questo ci porta al tema centrale della riflessione, cioè il discorso sull’integrazione e sulla necessità di ripensarla come servizio di qualità.
E’ ovvio che tutti gli alunni devono avere le stesse opportunità nel senso dello sviluppo delle proprie potenzialità o, per dirlo in modo diverso, l’istituzione Scuola deve dare a tutti uguali opportunità di ricevere un diverso trattamento.
Tutti gli alunni, quando entrano in scuola, hanno il problema dell’inserimento ma , superata questa situazione di “stato”, scatta l’esigenza dell’integrazione come risultato di un processo.
Molto spesso ci si limita al solo inserimento, per i disabili, con un’accettazione passiva senza un progetto che coinvolga tutta la struttura nel suo insieme e, per l’esterno, l’Ente Locale, le Associazioni di Volontariato, la Parrocchia, e quanti possano essere coinvolti nel progetto. Naturalmente il cattivo uso dell’insegnante di sostegno con delega totale, non può che ampliare la negatività di tale stato.
Considerando invece che tutti hanno bisogno d’integrarsi, ci deve essere una crescita di tutto l’ambiente attraverso un’organizzazione mirata al superamento dei conflitti e della paura della diversità, sostituendo il concetto di gravità con quello di complessità.
D’altra parte basta ripensare ai libri per l’infanzia per scoprire che molte delle fiabe più note sono basate sulla presenza dell'elemento “diversità”. Ma la diversità è sfiorata, è utilizzata ma non risolta e il finale vede sempre il trionfo della normalità (es. Pinocchio diventa un bambino).
Per creare una vera cultura dell’integrazione occorre che la nostra “fiaba” quotidiana veda il trionfo della diversità intesa come una parte della vita e il lieto fine non deve essere la trasformazione ma l’accettazione e la comprensione delle altrui necessità.
La vecchia cultura dell’handicap era basata sulla rassegnazione, la nuova cultura deve basarsi sulla fiducia che anche il sistema Scuola deve contribuire a creare.
La fiducia fa scattare il passaggio dalla chiusura in se stessi alla valorizzazione del diverso. Dove c’è sfiducia c’è allontanamento, c’è ghettizzazione, alle volte sottile, ma profonda e molto radicata.
E’ chiaro che parlare di handicap, di disabilità vuol dire sollevare problemi, intaccare un equilibrio, in ultima analisi disturbare.
Alcuni vorrebbero trasformare il diverso in normale come nelle fiabe e qui viene a crearsi una barriera fra i due mondi, in quanto l’operazione è destinata al fallimento.
Tuttavia la barriera diventa un semplice gradino se si ha il coraggio di accettarsi l’uno con l’altro.
Un docente universitario, il Prof. Larocca, ha definito l’integrazione come la ricerca del segreto che aiuta tutti ad essere diversamente abili. Io vorrei aggiungere una premessa : parlare cioè di
condivisione a monte del progetto tra la Scuola, la Famiglia, l’ULSS, l’Ente Locale e qualsiasi altro Ente o Associazione coinvolta. Solo così potrà avere successo la ricerca del segreto.
Quali sono, a tal riguardo, le questioni ancora aperte ?
Ente Locale : occorre innanzitutto ottenere l’adeguamento delle strutture, eliminando
tutte le barriere presenti ( scale, gradini, servizi igienici, porte, maniglie, tavoli,
banchi,…..). In aggiunta si deve evitare di ridurre l’attenzione dell’Ente solo
a richieste di contributi economici : questi sono importanti ma è altrettanto ne-
cessaria una specifica politica che si ponga obiettivi generali d’integrazione.
E’ infine opportuno che tutti i rapporti in tema di handicap tra scuola e ente
siano regolati da apposita convenzione comunicata anche alla famiglia.
ULSS : bisogna superare il problema certificazione, richiedendo una collaborazione
di profilo diverso. Occorre chiarirsi sui termini usati nelle diagnosi
e sul loro significato : esempio, ritardo cognitivo di lieve entità .
L’assegnazione di personale assistente deve avvenire in un contesto in cui sia
i compagni che gli insegnanti possono avere un preciso ruolo.
Dev’essere sviluppato un progetto d’integrazione sociale a supporto del Piano
Educativo Personalizzato.
Fondamentali sono gli accordi di programma.
Scuola -sostegno : prioritaria è la presenza di personale specializzato che possa
diventare tutor per il portatore d’handicap , evitando o rifiutando la delega a
tutto campo da parte degli altri operatori scolastici. Il sostegno non è una
disciplina aggiuntiva ma è funzione di coordinamento tra la scuola e
l’extrascuola, tra i docenti e i genitori e il personale ATA. Ha un ruolo
fondamentale nel processo di integrazione all’interno della classe e quindi
dell’Istituto.
Scuola – organizzazione : si deve evitare la rigidità dell’orario e può alle volte essere
concepibile una frequenza parziale attivando il meccanismo delle classi aperte.
L’attività non dev’essere sempre svolta fuori dalla classe in modo appartato e
la didattica va differenziata secondo le possibilità e …secondo buon senso .
I docenti infine vanno visti come mediatori tra la programmazione disciplinare
prevista e quella individualizzata, esplicitando anche nel POF (Piano dell’Of-
ferta Formativa) e nel PAC (Piano delle Attività Condivise) specifiche attività integrative
all’interno di un percorso formativo che tenga conto del clima in classe e in istituto per tutti
gli alunni,disabili compresi.
Importante è la formazione professionale degli operatori scolastici per vivere
una scuola ad alto livello d’integrazione.
Vi sono sicuramente molte altre questioni aperte ma credo che la cosa più importante sia quella di non parlare di persone disabili ma di persone tout-court con i loro bisogni di apprendimento non solo di nozioni ma anche di valori, di competenze, di abilità.
La vera integrazione si può avere solo se si tiene lo stesso comportamento e si compiono gli stessi atti che normalmente facciamo con gli altri.
La vera integrazione si può avere solo se vi è continuità tra scuola ed extrascuola, con una sinergia tra le varie professionalità interne ed esterne, principali o collaterali.
La vera integrazione si può attivare all’interno di un processo di trasformazione dove è in gioco la persona e non la patologia.
Occorre però ricordarsi sempre che anche l’ambiente si deve trasformare adattandosi
continuamente per mantenere attivo il processo.
Luciano De Zen
Lions Club Schio