FIGLI DI UN DIO MINORE
Buona sera a tutti.
Vorremmo iniziare la serata introducendovi alla visione di questo film e suggerendovi degli spunti di riflessione personale su alcuni dei suoi aspetti.
La società di oggi ci impone un unico modello di comunicazione, quello verbale, quando in realtà molte sensazioni importanti sarebbero comunicabili più efficacemente in altro modo. Non ci sono persone con cui non si possa comunicare, spesso però utilizziamo dei metodi di comunicazione sbagliati.
Nella vita di tutti i giorni molti comportamenti e molte situazioni che viviamo a noi risultano del tutto naturali...
Come sentire il suono delle onde del mare, il rumore della moka del caff, la melodia di una canzone.
Spesso non ci rendiamo neanche conto che alcune persone sono meno fortunate di noi.
Avete mai provato a spiegare a qualcuno che rumore fanno le onde del mare infrangendosi negli scogli? O che suono ha il cinguettio degli uccelli? Andreste mai in una discoteca senza suoni? Vi siete mai immaginati una partita di calcio o di basket completamente in silenzio?
Che rumore ha il silenzio?
Questo film ci apre le porte ad un mondo diverso dal nostro, ma non per questo meno intenso e meno bello. Vedremo come Sarah, la protagonista sordomuta riuscirà a descrivere con i gesti il suono delle onde del mare, mentre James, il ragazzo normodotato, non riuscirà ad esprimere attraverso il linguaggio del corpo il suono della melodia di una canzone.
Questo probabilmente accade perché i ragazzi che noi consideriamo disabili, nel corso della loro vita, sono sempre stati abituati a mettersi in gioco e hanno dovuto imparare a conoscere i propri limiti provando a superarli, al contrario, noi normodotati, ci siamo adeguati ad una vita semplice e standardizzata.
Alla luce di questo, sorge spontanea una domanda: chi dei due è davvero disabile (=meno abile)???
Un altro aspetto importante che traspare chiaramente è il fatto che le persone normodotate possono pensare di “controllare” le persone che sono reputate“diverse” solo perché queste ultime sono prive di alcune doti che sono considerate normali.
In alcune scene del film infatti potremo notare come Sarah vorrà sottolineare il fatto di non essere inferiore e di essere completamente autonoma e autosufficiente. A questo proposito sarà Saraha stessa a ribaltare la situazione mettendo James in difficoltà gesticolando più velocemente per non farsi capire da lui, oppure voltandosi mentre lui le parla.
Dovremmo quindi iniziare a pensare che:
LA DIVERSITA’ NON è UN LIMITE MA UNA RISORSA!
LA DIVERSITA’ CI DA LA POSSIBILITA’ DI METTERCI A CONFRONTO.
Non ci sarà mai nessuno uguale e identico a noi. Siamo tutti DIVERSI!
LA DIVESITA’ ARRICHISCE !
In realtà ci siamo mai chiesti cosa sia la NORMALITA’?
Probabilmente dovremmo iniziare a “DISORIENTARE” LA NORMALITA’.
Una vita difficile non è una colpa e nemmeno un alibi.
Dopo la visione del film vi invitiamo a riflettere su 2 aspetti che a noi sono sembrati importanti e ai quali ognuno potrà dare il significato che reputa più adeguato, vi lasciamo così con questi 2 interrogativi:
· Cosa significano gli anelli che Sarah disegna con le mani?
· Come si può trovare un modo per eliminare i pregiudizi e le differenze nella società di oggi?
ROSSO COME IL CIELO
Che cosa si prova ad ammirare i verdi prati e i dorati campi della Toscana?
Che cosa si prova a guardare la televisione o a leggere un giornale “comodamente a casa”?
E a vedere un emozionante western al cinema?
E tante biglie colorate rotolare fra i sassi?
E che cosa si proverebbe se all’improvviso, inaspettatamente, ci si trovasse a fissare il buio?
Timore? Spaesamento? Disperazione? Solitudine? Sfiducia? Sconforto?
Forse così reagirebbe chi, dopo aver visto quelle e tante altre meraviglie, vedesse solo buio.
Forse così reagirebbe l’”abile” che si trovasse ad essere “disabile”.
Pensare così che “Dio non mi vuole bene, altrimenti non mi ci avrebbe fatto giocare con quel fucile”, volersi nascondere “sotto il letto” afflitto da un peso e da una vergogna, vedersi relegato da una legge che ti considera un ostacolo per chi è invece “normale”.
E se invece questo grave incidente, causa di conseguente handicap, fosse un nuovo ed insperato punto di partenza?
Se si trovassero nella disabilità un’energica risorsa ed un trampolino di lancio verso esperienze mai provate ed incredibili? Verso nuove abilità?
Voi sapreste descrivere i colori a chi non li hai mai visti? Il blu com’è? Il marrone? E il ROSSO?
Voi sapreste descrivere l’alternarsi delle stagioni attraverso i suoni?
Sapreste cogliere la musicalità e le sonorità della realtà?
Sapreste andare a vedere un film comico e ridere pur non riuscendo a vederlo? Magari ridendo delle risate di altri…è comico solo il film o anche chi assiste al film? Ci avete mai fatto caso?
Se si riuscisse a fare tutto questo e altro ancora…
SI SAREBBE ANCORA DISABILI? CHI SAREBBE L’ABILE E CHI IL DISABILE, A QUESTO PUNTO?
Il cieco “nella vista“ che riesce ad esplorare orizzonti nuovi, scoprire un mondo di fantasia e conoscere più a fondo la natura o il cieco “nel cuore” che rimane limitato nella vita quotidiana e banale, nelle solite regole e abitudini e che ritiene che“la libertà sia un lusso non permesso ai ciechi”?
Nel film Don Giulio rivolge a Mirco questa domanda “Se hai cinque sensi perché ne vuoi usare solo uno?” . Noi quanti ne usiamo?
Se qualcuno non può usare un senso è da considerarsi diverso? E magari lo chiamiamo “disabile” anche quando usa molto più di noi sensi e percezioni che noi utilizziamo poco e più superficialmente?
Magari dovremmo bendarci anche noi, giocare a mosca cieca più spesso…
Secondo voi questo è un film che narra di come un bambino diventi cieco o di come un bambino colga l’essenza dei suoni?
Nel film vediamo che Mirco integrando ed unendo le abilità diverse dell’amica Francesca e la vitalità trasmessagli da chi è felice non solo di nome, riesce a tramutare la rabbia e relativa negazione della sua condizione iniziale in una nuova incredibile capacità, dimostrando una fantasia ed una sensibilità non comuni.
E se ci avviassimo anche noi ad una nuova integrazione? Dove invece di voler rendere il diverso uguale a noi provassimo a scoprire le meraviglie della sua diversità?
Concludiamo la riflessione lasciandovi altre due domande di cui, se volete e siete disposti, potrete discutere e parlare in sala al termine della proiezione.
- Perché secondo voi il regista ha scelto come titolo “Rosso come il cielo” lasciando la citazione a metà omettendo “al tramonto”?
- Nel film precedente della rassegna abbiamo visto come un insegnante riesca ad ottenere risultati stupefacenti con alcuni ragazzi sordomuti seguendoli ed educandoli in una scuola apposta per loro; in questo film, invece, si vede come dei bambini afflitti da un altro handicap ottengano risultati stupefacenti proprio grazie all’integrazione con una bambina “normodotata” e come siano ostacolati dal fatto di dover frequentare un istituto apposito. Secondo voi quale è la giusta via?
Spesso gli stereotipi e la cecità mentale offuscano le visioni di coloro che sono ritenuti normali in virtù della loro aderenza agli standard della nostra società. I malati mentali sono gli unici ad essere liberi da questi vincoli e in grado di andare oltre le apparenze. In Italia fino al 1978, i cosiddetti pazzi erano internati nei manicomi dove farmaci e sbarre sostituivano quelle che sarebbero state le vere cure alla comunemente considerata malattia cioè il dialogo e la libera espressione della propria personalità: prima della Legge Basaglia del ’78, i manicomi erano spazi di contenimento fisico dove venivano utilizzati metodi sperimentali di ogni tipo, dall’elettroshock alla malarioterapia.
“Si può fare” getta uno sguardo su un mondo troppo spesso ignorato in quanto incompreso.
Di esso, a volte, entrano a far parte alcuni visionari che, come il protagonista Nello, comprendono e sfondano una barriera impenetrabile di questo vero e proprio universo parallelo. Grazie alla forza di volontà di un educatore che riesce ad introdurre nella normalità e in particolare nel mercato concorrenziale del parquet dei membri di una cooperativa sociale, si riesce ad oltrepassare il muro che divide la follia dalla ragione.
Emblema di ciò sarà l’innamoramento di Gigio nei confronti di Caterina, una ragazza normale che, però, in quanto tale non coglie fino infondo l’essenza della diversità. Ma anche quando tutto sembrerà andare in fumo, i ragazzi della cooperativa riusciranno a rialzarsi e ad iniziare una nuova vita i cui confini sfiorano la nostra realtà.
In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Il problema è che la società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica una scienza, la psichiatria di tradurre la follia in malattia allo scopo di eliminarla.
Da vicino nessuno è normale.
“Tu hai bisogno di un cervello e io di un paio di gambe, insieme formiamo una persona perfetta” ripete più volte Kevin a Max e, con questa consapevolezza, i due si avventurano alla scoperta del mondo.
Quando, per un ragazzo di 13 anni, arriva il momento di dover superare le difficili prove della vita reale, avere un amico del cuore è la chiave giusta per affrontare tutto con forza e a testa alta, dalla cima del mondo.
Per superare con maggior facilità problemi ed ostacoli, è necessario cercare dentro di sé forza e coraggio, proprio come facevano gli antichi guerrieri delle favole quando dovevano uccidere draghi, combattere forze oscure e salvare damigelle in pericolo.
Basta guardare il cielo è un inno all’amicizia, quella vera, in cui due ragazzi riescono ad affrontare le difficoltà della vita restando uniti ed aiutandosi l’un l’altro.
Max e Kevin sono due ragazzi diversi sia nell’aspetto fisico che nel carattere: Max è un ragazzo grande e grosso ma, a causa dei suoi trascorsi familiari, è molto introverso e per certi versi molto ingenuo; Kevin è invece un ragazzo piccolo ed esile, chiamato dai suoi compagni di scuola “Lo storpio” a causa di una rara malattia debilitante da cui è affetto sin dalla nascita, ma è straordinariamente intelligente e brillante.
Assieme i due si completano: Kevin dà a Max la voce, le capacità cognitive, la voglia di fantasticare, di viaggiare con l’immaginazione; Max dà a Kevin la possibilità di muoversi, di viaggiare realmente nello spazio, di giocare a basket, di correre sentendo il vento tra i capelli e di vedere dal vivo i fuochi d’artificio che fino ad allora erano solo frutto della sua immaginazione.
Nella vita ci sono molti eventi che indeboliscono, spaventano e tolgono la possibilità di reagire: quando però accanto a te hai persone in cui riporre piena fiducia, tutto sembra più facile e gli ostacoli si trasformano in avventure da intraprendere.
Vorremmo lasciare infine alcune domande a cui cercheremo di dare delle risposte:
-Perché Kevin racconta a Max una bugia riguardo la lavanderia?
-Perché il titolo è “Basta guardare il cielo”?
-Perché, all’ultima pagina, Max non scrive più nulla e fa un disegno?
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